sabato 9 novembre 2013

Iperealismo spaziale


"È in noi che i paesaggi hanno paesaggio. Perciò se li immagino li creo; se li creo esistono; se esistono li vedo. [...] La vita è ciò che facciamo di essa. I viaggi sono i viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo."

lunedì 4 novembre 2013

Il blu è un colore caldo



Pasolini scriveva che "Il naturale è sempre senza errore". Affermazione condivisibile o meno, la quale però si adatta al film scandalo "La vita di Adèle", uscito in Italia il 24 Ottobre e tratto da una graphic novel francese scritta e disegnata da Julie Maroh ("Le bleu est une couleur chaude"). Uscito in Francia in due parti (unite poi in un unico film da più di tre ore), "La vita di Adèle" racconta l'iniziazione sentimentale e sessuale di una quindicenne, la Adèle del titolo. Un po' un Giovane Holden femminile, omosessuale (o bisessuale, come si intuisce alla fine del film) e molto spinto.

lunedì 23 settembre 2013

Un film per ragazzini e Regazzoni...

Questa è una storia, una storia con una morale alla fine: non rompere le palle a Thor, altrimenti finirai molto male.

mercoledì 11 settembre 2013

Il gusto delle cazzate orientali

Da un po' di anni va di moda, nei festival cinematografici più importanti di tutto il mondo, premiare film orientali. Posso capire che il linguaggio del cinema è universale e si può manifestare attraverso le culture più disparate, lontane dalla nostra visione occidentalizzata delle emozioni, e per questo difficili da comprendere dal punto di vista del nostro personale livello interpretazionale di simbolismi e metafore. Ma, diciamola tutta, ormai questi film si premiano perché è "normale" farlo; perché un festival internazionale di cinema deve mettere in risalto il cinema orientale, il quale in passato non ha trovato un posto nel panorama internazionale capitanato dalla patinata e commerciale Hollywood; perché anche se il suddetto film orientale è, citando Fantozzi, "una cagata pazzesca", esso verrà premiato e osannato dalla critica solo perché è orientale. E quindi assistiamo ad un meta festival della sboroneria dove i critici non criticano ma fanno a gara a chi spara le meenchiate più grosse per elogiare un film che in realtà non ha motivo di essere elogiato, tutto questo per sembrare sempre meno commerciali all'occhio di un pubblico sempre più indie a livelli estremi. Che poi essere indie di questi tempi è diventato di moda, o mainstream, per citare gli stessi indie preformati in fabbrica tutti Converse, Reflex e cinema orientale, quindi c'è un senso ossimorico nello stesso definirsi indipendente. Io nemmeno ce l'ho col cinema orientale, mi piacciono Kim-Ki Duk e Wong Kar Wai (nella mia testa sento i critici indipendenti della funcia che stanno diventando insopportabili e che mi dicono "ma sono i più commerciali, i più occidentalizzati". Una delle mie ventordicimila personalità li zittisce gridando "guardatevi Arirang!". Se non è patologia mentale questa... ). Ok. Tutto questo preambolo era per parlare di un film orientale che ha vinto l'Orso d'argento a Berlino e che la critica adora ma che io trovo obbrobrioso. Dopo una mezz'oretta ti fa andare in bagno meglio del Guttalax. Si, recensisco "Il gusto dell'anguria".